Il legislatore utilizza le società semplici come prototipo normativo generale per le altre società di persone, rinviando la disciplina alle disposizioni ex artt. 2293 e 2315 c.c.. Quindi, le norme relative all’amministrazione delle società semplici, contenute negli artt. 2257 – 2260 c.c., si applicano anche alle altre società di persone, salvo quelle derogate da specifiche disposizioni delle S.n.c. e delle S.a.s..
Gli amministratori della società di persone sono soggetti investiti del potere di amministrazione - cioè del potere di prendere le decisioni inerenti l’esercizio dell’attività economica oggetto del contratto di società - il quale:
1) Comprende tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale;
2) Salve diverse disposizioni del contratto sociale, il potere amministrativo si estende agli atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione.
Dalla normativa si ricava che nelle società di persone, a differenza delle società di capitali, il potere di amministrazione è naturalmente connesso alla qualità di socio. Pertanto, il modello di amministrazione delle società di persone prevede due capisaldi:
1) L’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci illimitatamente responsabili. Salvo diversa pattuizione, tutti i soci (a responsabilità illimitata) sono anche amministratori. Nel caso in cui un socio decidesse di non voler ricoprire la carica di amministratore, dovrà rifiutarvi espressamente e introdurre una clausola in deroga all’interno dell’atto costitutivo. Comunque, nelle società di persone non sono ammessi amministratori non soci.
2) Salvo patto contrario, l’amministrazione è disgiunta. Ciò significa che il socio (amministratore) può intraprendere e concludere da solo qualsiasi operazioni che rientri nell’oggetto della società, senza essere tenuto a chiedere l’approvazione degli altri soci.
In via generale, possiamo affermare che nelle società di persone sono ammesse due diverse tipologie di amministrazione:
Se non è riportato diversamente dell’atto costitutivo, l’amministrazione risulta disgiunta (art. 2257 c.c.), cioè ogni socio ha il potere di prendere delle decisioni autonomamente, senza l’approvazione degli altri soci e senza che sia tenuto a informare anticipatamente quest’ultimi sull’operazione che sta per compiere. Nonostante ciò, con l’art. 2257 co. 2 e 3 c.c. il legislatore riconosce agli altri amministratori il diritto di opposizione all’atto che un altro amministratore vuole compiere in esecuzione dell’amministrazione disgiunta: << se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all’operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta >>. Stiamo parlando di un diritto all’opposizione, spettante ai soci amministratori, di tipo “preventivo” cioè esercitata prima che l’operazione sia compiuta, sospendendo e paralizzando il potere dell’amministratore in ordine all’operazione contestata, impedendogli di procedere al compimento della stessa. In ipotesi di esercizio del diritto di opposizione, il dissenso tra amministratori viene risolto dall’intervento di tutti i soci (sia amministratori sia non), i quali decidono sull’opposizione a maggioranza di capitale. Il socio amministratore che, nonostante l’opposizione, compia l’atto di gestione è responsabile nei rapporti interni nei confronti degli altri soci, oltre al fatto che tale atto sarà opponibile e vincolante per la società solo nel caso in cui:
- Sia ratificato a seguito della decisione favorevole della maggioranza dei soci amministratori;
- Si dimostri che il terzo interessato all’affare non era stato messo a conoscenza dell’avvenuta opposizione.
Se indicato espressamente nell’atto costitutivo (in sede di costituzione o successivamente), può essere prevista l’amministrazione congiunta ai sensi dell’art. 2258 c.c., cioè ogni atto richiede il consenso dell’unanimità. Nell’art. 2258 co. 2 c.c., però, il legislatore introduce una variante al sistema di amministrazione congiuntiva basato sulla rigida regola dell’unanimità. Si prevede, infatti, che il contratto sociale possa stabilire l’esercizio del potere amministrativo, o anche solo per alcuni atti, con il consenso della maggioranza, secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili.
Ricapitolando, quindi, possiamo affermare che l’amministrazione congiunta può configurarsi:
a) All’unanimità (ipotesi prevista anche qualora i soci si limitino a prevedere l’introduzione del regime di amministrazione congiuntiva, senza ulteriori specifiche);
b) A maggioranza;
c) All’unanimità per determinati atti o a maggioranza per altri.
All’interno dell’amministrazione congiuntiva, l’unica ipotesi per cui un atto di gestione possa essere compiuto dai singoli soci amministratori è quella di un atto urgente al fine di evitare un danno alla società (art. 2258 co. 3 c.c.) cioè atti:
- necessari a evitare un danno alla società, di qualunque entità sia;
- tali da non consentire la preventiva consultazione degli altri soci amministratori.
Esaminati i due modelli base di amministrazione, questi possono essere espressamente derogati nel contratto sociale. Infatti, la normativa lascia i soci liberi di modellare il funzionamento del modo che ritengono più opportuno, sia in riferimento all’attribuzione del potere gestorio – potendo l’atto costitutivo prevedere che l’amministrazione sia riservata soltanto a uno o più soci – sia nelle modalità di esercizio dello stesso potere. In tal senso, esemplificando, alcuni regimi convenzionali sono:
- Amministrazione attribuita a un unico socio (amministratore unico);
- Amministrazione disgiuntiva o congiuntiva attribuita ad alcuni soci;
- Amministrazione disgiuntiva o congiuntiva attribuita ad alcuni soci solo per specifici e determinati atti, ed estesa a tutti i soci con riguardo alla rimanente parte dell’attività di gestione;
- Amministrazione disgiuntiva per alcuni atti di gestione e congiuntiva per altri.
In riferimento al diritto al compenso dell’amministratore di società di persone, facciamo presente come il legislatore, diversamente dalle spa, non regolamenta la questione. Vi sono diverse tesi contrastanti in materia, anche se la tesi che appare prevalente (Cass. 28/05/1985 n. 3236 e Cass. 13/11/1984 n. 5747) ritiene che l’espletamento delle funzioni di amministratore dovrebbe presumersi a titolo oneroso, in considerazione di quanto previsto nell’art. 1709 c.c.. Si faccia presente come tale articolo del codice civile non prevede un vero e proprio diritto dell’amministratore al compenso, bensì una “presunzione” di onerosità del suo incarico.
In conclusione, l’art. 2261 c.c. protegge i soci non amministratori riconoscendo loro il diritto di:
Avere dagli amministratori notizia delle svolgimento degli affari sociali e consultare relativi documenti (art. 2261 co 1 c.c.);
Ottenere il rendiconto dell’amministrazione al termine di ogni anno (art. 2261 co. 2 c.c.);
Ottenere il rendiconto degli affari conclusi (art. 2261 co. 1 c.c.).
Dott. Caglieri Simone
Commentaires